La missione Irini: il contributo dell’Ue alla sicurezza della Libia e del Mediterraneo

Sulle sponde del Mediterraneo, da anni, si sta giocando una partita complessa: quella per la stabilizzazione della Libia. Il conflitto è lontano dal concludersi a causa dei persistenti contrasti interni tra due fazioni rivali: quella del generale Khalifa Haftar, appoggiato da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Russia, Egitto e Giordania (e con il quale anche la Francia si è mostrata propensa a cooperare) e quella del Governo di accordo nazionale, stabilito a Tripoli sotto l’egida delle Nazioni unite e sostenuto in particolare da Italia, Qatar e Turchia (guidato fino a poche settimane fa da Fayez al-Sarraj).

La posta in gioco è molto alta e la crisi in Libia dovrebbe rappresentare una priorità per l’Unione europea, visto che il paese ha un ruolo importante per l’equilibrio e la sicurezza del nord Africa e dell’intero Mediterraneo. In tale contesto geopolitico si inserisce la nuova operazione militare europea Eunavfor Med Irini, la quale rientra nell’ambito della Politica di sicurezza e difesa comune (Psdc) e sostituisce la precedente missione Sophia.

Sebbene ci siano alcuni punti in comune con la missione Sophia, durata dal 22 giugno 2015 al 31 marzo 2020, Irini ha come obiettivo prioritario il contributo all’attuazione dell’embargo sulle armi, imposto dalle Nazioni unite nei confronti della Libia, con mezzi aerei, satellitari e marittimi.

Soldati impegnati di fronte alla nave San Giorgio della Marina militare Italiana. Fonte: Flickr.

L’operazione è entrata in vigore il 31 marzo scorso e il suo mandato durerà fino al 31 marzo 2021, salvo proroga. Essa dà concretezza alle decisioni, assunte dai partecipanti alla Conferenza di Berlino del 19 gennaio scorso, di collaborare per favorire “un cessate il fuoco” in Libia attraverso il blocco del traffico di armi, come imposto dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite (in particolare le risoluzioni 1970 (2011), 2292 (2016) e 2473 (2019).

Oltre al compito principale la missione ha anche i seguenti obiettivi secondari:

  • monitorare le esportazioni illecite di petrolio, compreso il greggio e prodotti petroliferi raffinati, dalla Libia;
  • Fornire assistenza nello sviluppo delle capacità e nella formazione della Guardia costiera e della Marina militare libiche nel quadro delle attività di contrasto al traffico di esseri umani;
  • contribuire allo smantellamento della rete di traffici di esseri umani nel Mediterraneo, in accordo con la Risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite 2240 (2015).

Si può notare che i compiti della missione sono principalmente di deterrenza, monitoraggio e raccolta informazioni. Diversamente dalla precedente missione Sophia, Irini non è focalizzata sul contrasto all’immigrazione clandestina, e neanche sulla tratta di esseri umani o sul pattugliamento in cerca di migranti da salvare, fermo restando, ovviamente, il rispetto dell’obbligo di soccorrere e salvare le vite in mare. Inoltre – rispetto alla precedente decisione del Consiglio europeo che ha dato il via all’operazione Eunavfor Med Sophia nel Mediterraneo centro-meridionale – l’attuale area di operazioni è stata ampliata all’intero Mediterraneo al fine di coprire la maggior parte delle linee di traffico mercantile attraverso cui potrebbero avvenire eventuali violazioni dell’embargo.

L’area di operazione (Aoo – Area of operations) della missione Irini copre dunque il mar Mediterraneo, e in particolare, le coste libiche, anche se il Consiglio europeo non ha escluso, per il futuro, la possibilità di ampliare l’ambito geografico dell’operazione per consentire l’impiego della sorveglianza all’interno dello spazio aereo libico, ovviamente con il consenso delle relative autorità e conformemente alle decisioni dell’Onu e alle norme internazionali. Attraverso mezzi marittimi, aerei e satellitari l’operazione sarà in grado di raccogliere informazioni estese e complete circa il traffico di armi, e i relativi materiali, condividendo poi tali informazioni (a seconda del livello di classificazione) con i principali partner e agenzie interessate.

Il Mediterraneo orientale. Fonte: Wikimedia Commons.

Vista l’area di operazioni più ampia, sono necessarie importanti risorse militari. Per questa regione gli Stati partecipanti sono chiamati a mettere a disposizione anche asset speciali come sottomarini, droni, e aerei da ricognizione AEW. La task force della missione è stata recentemente ampliata, e la piena capacità operativa è stata annunciata lo scorso 18 settembre. I Paesi contributori dovrebbero essere 23 anche se, inizialmente, solo cinque – Francia, Germania, Grecia, Lussemburgo e Polonia – hanno fornito le rispettive risorse. La missione ha ricevuto ulteriori rinforzi lo scorso luglio. Importante è il contributo delle forze armate italiane, che hanno messo a disposizione della missione dei droni da ricognizione Predator e la nave San Giorgio, che ospita anche unità della Brigata San Marco. Lo scorso agosto, anche la fregata tedesca Hamburg si è unita alla missione.

Un drone Predator in dotazione alle forze armate italiane. Fonte: Wikimedia Commons.

La presenza di elicotteri e di boarding team (come i militari della San Marco) contribuirà positivamente allo svolgimento delle operazioni. Infatti, per il perseguimento del compito principale è previsto che la task force possa compiere azioni esecutive al largo delle coste libiche, effettuando ispezioni delle navi sospettate di trasportare armi o relativi materiali, secondo quanto stabilito ai paragrafi tre e quattro della risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu 2292 (2016). Tali ispezioni possono avvenire a condizione che gli Stati aderenti, agenti a livello nazionale o attraverso organizzazioni regionali, si adoperino in buona fede per ottenere, prima di ogni azione, il consenso dello Stato di bandiera della nave, e utilizzino tutte le misure adatte alle circostanze specifiche, nel pieno rispetto del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani. Secondo l’EuObserver, a metà giugno l’operazione navale aveva già fermato circa 130 navi sospette.

Le operazioni di ispezione non sono tuttavia così semplici e immediate. Infatti, come ha precisato lo stesso Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, “ogni volta che viene individuata una nave sospetta le unità navali militari devono acquisire dapprima informazioni; se queste risultano soddisfacenti allora non c’è altro da fare. Bisogna invece agire diversamente, e fare qualcosa in più, solo se la nave sospetta non risponde alla richiesta di informazioni” – e cioè procedere all’attività ispettiva dopo le cosiddette “4 hours of good faith effort”. Questa complessa procedura è stata messa in evidenza in un episodio recente che ha coinvolto un cargo tanzaniano, scortato da navi turche e diretto in Libia. In questo caso la risposta è stata data dalle navi militari turche, di scorta, le quali hanno comunicato che il trasporto riguardava attrezzature mediche. Per cui c’è stata solo un’acquisizione di informazioni da trasmettere all’Onu.

Unità della Brigata San Marco. Fonte: Wikimedia Commons.

Al fine di facilitare l’acquisizione, la raccolta e la trasmissione delle informazioni acquisite in merito alla violazione delle norme previste dalle Risoluzioni Onu o alla commissione di crimini rilevanti per la sicurezza della missione, è previsto che Eunavfor Med Irini ospiti anche una Cellula di informazione sui crimini (Cic) comprendente personale proveniente dalle principali autorità ed agenzie europee di law enforcement.

Oltre alle risorse messe a disposizione dai singoli Stati partecipanti, il Centro satellitare dell’Ue (SatCen) fornirà supporto attraverso immagini satellitari mentre il Centro di intelligence (IntCen) contribuirà alla raccolta delle informazioni necessarie allo svolgimento dei compiti assegnati.

Il controllo politico e la direzione strategica dell’operazione sono esercitati dal Comitato politico e di sicurezza (Cps), sotto la responsabilità del Consiglio e dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. La direzione militare è invece affidata al Comitato militare dell’Ue che sorveglia la corretta esecuzione della missione. Il comandante dell’operazione è il contrammiraglio italiano Fabio Agostini, affiancato da un vice comandante, il contrammiraglio francese Jean-Michel Martinet, e dal comandante della forza militare, il contrammiraglio italiano Ettore Socci. Il quartier generale dell’operazione (Ohq) è situato a Roma presso il Comando operativo di vertice interforze (Coi).

Non si tratta di una missione di facile gestione considerati gli obiettivi e i compiti assegnati, i mezzi militari a disposizione, i limiti normativi e gli interessi coinvolti. Essendo un’operazione internazionale e interforze, i compiti assegnati richiedono un importante livello di cooperazione, non soltanto tra gli Stati aderenti, ma anche tra le varie componenti delle loro forze armate, oltre a una elevata capacità di comunicare e condividere informazioni. Inoltre, il controllo marittimo probabilmente non basta poiché – come molti hanno sottolineato – le armi purtroppo non entrano in Libia soltanto via mare ma anche attraverso gli estesi confini terrestri.

Infine, gli interessi nazionali di paesi coinvolti potrebbero essere da ostacolo a una fattiva collaborazione. Nel maggio 2020, Malta si è ritirata da Irini e ha minacciato di porre il veto ai fondi dell’Ue a essa destinati, per cui il boarding team maltese, previsto inizialmente, non partecipa all’operazione. Potrebbero incidere negativamente sulla missione anche i contrasti tra Grecia e Turchia e le crescenti tensioni tra Francia e Turchia, oltre al fatto che il governo di Ankara, già critico verso l’operazione, potrebbe ostacolare il coordinamento tra Irini e un’analoga operazione Nato nel Mediterraneo, Sea Guardian.

In ogni caso, come ha affermato l’Alto rappresentante Borrell, l’operazione Irini non è la soluzione al problema libico ma solo un elemento di essa. In effetti il nome assegnato alla missione deriva dalla parola greca che significa “pace”, pertanto si spera che la questo sforzo militare congiunto da parte dei paesi dell’Ue contribuisca effettivamente al ripristino della pace e stabilità in Libia.

Claudio Laiso